Graffi d’imperfezione
In mezzo ad un giardino con una rosa
denudata dal sole e dai venti, non hai
tempo per accorgerti che sta per venire giù
una nuova primavera d’anemoni e piogge.
A lungo ho pensato alle tue mani, al tuo
volto, alle testimonianze importanti, ai confini
dei tuoi occhi sempre in attesa di qualcosa,
ai tuoi sguardi che come i tulipani riescono
ad essere protagonisti in mezzo ai viali.
E quando i pensieri si fanno largo nel cerchio
della solitudine, ecco le pupille chiare
che come ranuncoli gialli incantano i colori,
ecco l’Iris degli arcobaleni che scende dai tuoi
omeri per incontrare i sogni delle attese.
Voglio l’altro di te, quel tripudio di grida
ormai disciolto ai venti che da questa parte
del mare porta sempre il profumo
delle rose che mutano ora in rosso ora in viola
come la dolcezza dei tuoi umori maggiolini.
Graffi d’imperfezione che richiamano
la semplicità della nostra vita contadina
o forse il sorriso delle aiuole che aspettano
di raccogliere di sera i tuoi sguardi adulatori
quando il sole altro non è che una luce
tra le tante rughe dei vecchi sulle panche.
La rosa
Raccoglierò la rosa e sarà
il primo gennaio del Duemilaventi.
Dicono che ogni tanto risorgano le rose
lungo le coste del Mediterraneo, in quelle
mattinate di brina intensa che per abitudine
tornano a brillare di soppiatto.
Ma cosa ne sanno le rose delle cadute
improvvise e del risorgere dei numeri,
dei viaggiatori lasciati in una costellazione
virtuale quando si naviga su Internet,
tra le aiuole dei confini che aspettano le nevi
per negare la fiamma che vacilla dentro?
Di certo, una sola rosa fiorirà,
un solo passato visitato
dal boccio di velluto che come me
si offre in saluto all’isola che eri, che sei,
in una seduzione ritrovata per scegliere
la vita nel piacere di una spina.
Perché tu sei senza confine, l’atlante
che torna dai paesi a farsi vita, un vocabolo
d’origine infinita che piega ogni stagione
ai silenzi assurdi del mio mare.
E per tanto desiderio, già ti cerco
dove il colore si rifugia al vento;
nel tempo di una sola memoria
che come la rosa delle veglie appare
quando l’ultimo secolo è scomparso.
Un fiore
Mostrami del tuo giardino
la più bella rosa, quella
che non ha spigoli o corteccia,
quella che addolcisce nascosta
nei pensieri quando di noi parla
la gioventù che non lascia orme,
quel grido che vola in segreto
sul muro dell’animo in tumulto.
Parlami ancora della tua finestra appena
schiusa dalla terra a pagine incompiute,
gridami che c’è ancora un senso
che faccia testamento dentro il cuore.
E dove la sera inizia quando tu mi chiami,
la luna ascolta l’uomo e questo andare.
Sappi tu sola di questa rosa che ti cerca
tra il portico d’erba e il casolare, sappi
che là dove la vita si disegna un cielo
clandestino resta il profumo sul tuo corpo.
E resti così di te
parola d’acqua, apparenza intatta sull’isola
che trema, memoria che si chiede com’è
possibile annegare quando l’euforia risorge
ad ogni muta promessa dal tuo mare.
Restiamo così, restiamo come fossero
passati soltanto mesi dal quel giorno
che ci vide sogno e stella, da quell’amore
che vibra piano al profumo di una rosa.